Il giudice Giovanni Falcone e il magistrato Paolo Borsellino hanno perso la vita durante l’estate del 1992, assassinati dalla mafia a 57 giorni di distanza l’uno dall’altro. Il dottor Falcone stava tornando da Roma, come era solito fare nel weekend, per fare ritorno a Palermo quando, all’altezza di Capaci, cinque quintali di tritolo raggiunsero la sua macchina e quella della sua scorta. Il magistrato Paolo Borsellino invece si stava recando dalla madre come soleva fare di domenica, quando una bomba piazzata sotto casa della madre esplose in via D’Amelio. I due giudici verranno sempre ricordati per aver combattuto con ogni mezzo e con tutte le proprie forze la criminalità organizzata siciliana. Quando un giornalista chiese in un’intervista al giudice Falcone “Chi glielo facesse fare” di mettere a repentaglio la propria vita per combattere il fenomeno mafioso, quest’ultimo rispose: “Lo spirito di servizio”.
E questa frase, afferma la sorella di Falcone, riassume tutto l’impegno del fratello come “Funzionario dello Stato”.
Le loro storie intrecciate da un destino comune
Falcone e Borsellino da bambini vivevano nello stesso quartiere di Palermo, il quartiere Kalsa di origine araba. Entrambi avevano brillanti voti alle scuole superiori, frequentarono il liceo classico. Falcone scelse l’accademia navale dopo le superiori, poi cambiò idea e si iscrisse a giurisprudenza. Mentre Borsellino si laureò a 22 anni anche lui in giurisprudenza. I due dopo varie impegni sociali si ritrovarono a combattere la mafia fianco a fianco, quando la lotta tra le cosche diventava troppo violenta. Tra il 1981 e il 1982 si contava a Palermo un morto ogni tre giorni. In quegli anni si facevano spazio i Viddani di Palermo, ovvero i Corleonesi capeggiati da Totò Riina, noti per la crudeltà con cui agivano.
Violenza che non risparmiò lo Stato: nel corso di quegli anni morirono Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista e membro della Commissione antimafia, Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto antimafia e generale dei carabinieri, e Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio istruzione di Palermo.
Il ricordo di due eroi
Falcone, Borsellino e altri colleghi magistrati istituirono un pool antimafia sotto la guida di Antonino Caponnetto con lo scopo di fronteggiare il fenomeno mafioso. Il pool di magistrati iniziò a lavorare a gran ritmo e intanto stava arrivando la stagione dei pentiti. Il primo fu Tommaso Buscetta che rivelò al giudice Falcone i segreti e le gerarchie interne di Cosa Nostra. “Tra il settembre 1984 e il maggio 1985 avevamo il massimo della tensione e dell’appoggio” ricordò Borsellino nel libro I disarmati, di Luca Rossi. “Si sentiva una particolare atmosfera di consenso anche tra i colleghi del Palazzo di giustizia. Bastava aprire bocca e il ministero concedeva tutto: aerotaxi, segretarie, materiale” si legge poi. L’aula-bunker in cui si sarebbe svolto il processo a Cosa Nostra fu costruita nel giro di un anno.
Il maxiprocesso portò alla condanna di 360 mafiosi e 475 imputati. In conclusione Falcone e Borsellino resteranno per sempre nella memoria degli italiani e non solo, per la loro dedizione al lavoro e la lotta alla mafia.
La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.