“Terra di nessuno” è il titolo del romanzo dell’ingegnere Alberto Di Buono, edito da Graus Editore, 2019.
Classificato come “romanzo ambientale”, nella sua nota introduttiva l’autore lo definisce “romanzo azzurro” perché l’azzurro è il colore che viene fuori quando si mescola il verde dell’ecologia con il rosa di una storia d’amore.
In realtà, definirlo soltanto “ambientale” è riduttivo: quest’opera narrativa è un concentrato di informazioni preziose, di amore viscerale per le proprie origini, ma non solo, un’occasione per riflettere e redimersi da comportamenti vessatori – o potenzialmente tali – verso una terra seviziata da molto (troppo) tempo.
Così la penna di Alberto Di Buono descrive le vicende della vita di Federico Manfredi, un professore del Sud emigrato al Nord, richiamato alle sue origini, presso una cattedra di un liceo che anni prima aveva frequentato sedendo dall’altra parte del banco. Vicende che si intrecciano con quelle della collega Gaia, l’amore profondo e disinteressato del protagonista per la natura sotto pentite spoglie: Gaia infatti è il nome della dea primordiale della mitologia greca, Madre Terra, il nostro pianeta.
La scuola offre a Federico anche l’occasione di riprendere una vecchia amicizia, quella con il bidello Italo, un uomo di una cultura straordinaria e una saggezza ancor maggiore, che diventa il confidente del professore in alcune occasioni, ma non troppe, perché Federico Manfredi è un uomo riservato che raramente si lascia andare in rivelazioni.
Fra i personaggi e l’ambientazione circostante, domina la valle dall’alto Oikos, il maniero parlante (spesso la lingua napoletana), l’unico vero depositario dei pensieri di Federico.
Un incontro – scontro il loro, la circostanza preziosa e puntuale che induce Federico a riflettere sulla sua vita e su ciò che lo circonda. Un appuntamento con la realtà, che da queste parti sa essere struggente, in sella alla sua bicicletta, compagna di avventure con cui macina km, diretti verso un’unica meta: Oikos.
Da qui Federico ammira impietrito e dispiaciuto l’opera imprudente dell’uomo che trasforma la terra incontaminata e rigogliosa in una terra di nessuno, dove ognuno fa quello che vuole, dove la mano dell’uomo distrugge e altera l’ecosistema irrimediabilmente.
Il parallelismo con la realtà è pregnante nelle parole del libro, tant’è che Oikos esiste davvero!
Tra bellezza e degrado sorge nella Valle di Suessola, a San Felice a Cancello, nel cuore della Campania felix.
Costruito da Tommaso II d’Aquino, Conte di Acerra, è stato più volte distrutto e ricostruito. Attualmente è negato l’accesso, la struttura è in completa incuria e la vegetazione avanza divorando le antiche pietre. Eppure, in questa zona non particolarmente ricca di opere architettoniche, il recupero di questo castello che svetta dall’alto sarebbe importante per riqualificare il territorio.
Un territorio descritto abilmente dall’autore, dove immagina gli intrecci amorosi tra il timido prof, Gaia e un preside dai connotati sinistri.
E in questo contesto amoroso si colloca la scuola, intesa come occasione di formazione, di costruzione di coscienza civica ed ecologica.
Tra queste mura, Federico Manfredi coinvolge i suoi studenti nella crescita morale dell’io interiore, e lo fa attraverso continue provocazioni che costringono a dubbi e riflessioni, per poi scuoterli nella loro coscienza, rendendola consapevole della realtà deprecabile che li circonda, attraverso svariati espedienti.
Primo fra tutti, le sue lezioni sull’ecologia, che sono una chance per gli studenti di Federico, ma anche per i lettori dell’ingegnere Alberto, che con la maestria di chi ha padronanza assoluta degli argomenti di cui tratta, trasferisce loro concetti importanti con un linguaggio semplice ma efficace.
Una mission dal forte intento educativo: rendere appassionante temi astrusi, complicati, spesso apparentemente lontani dalla nostra quotidianità, la cui mancata conoscenza condiziona le nostre scelte molto più di quanto possiamo immaginare.
Un romanzo di struggente attualità che proferisce il bisogno di un percorso cosciente e comune per impedire il male dell’indifferenza, del disprezzo, dell’avvelenamento, che conduce all’angosciosa consapevolezza che una volta distrutto questo pianeta non ce ne sarà un altro di riserva.