Marco Anastasio da Meta di Sorrento partecipa al suo primo Festival della canzone italiana. Marco è introverso e nudo da hype, nascosto dentro i suoi maglioni larghi e la barba sfatta, Marco parla come un agé di un moto studentesco, parla per raccontare il disagio incompreso della sua generazione. Marco merita di vincere questo Festival.
Anastasio, cognome e anche appellativo di battaglia ha 23 anni, ma parla con stupefacente posa rispetto a chi non gli darebbe quella manciata dei suoi pochi anni, ha fatto gavetta grazie alle metriche della sue barre e a quell’enorme motore di promozione che è Youtube.
Ha scritto della rivoluzione calcistica dell’uomo in tuta antisistema, Maurzio Sarri, e ha poi trionfato alla penultima edizione del talent di Sky “X Factor“. Un singolo irruento e generazionale che pesava come un macigno “La fine del mondo”, che non ha mai messo in discussione la sua strada verso il trionfo finale.
Adesso si presenta a Sanremo, la sua prima, e se lo mettete in correlazione alla ricerche su Google vi affiancheranno, tra gli altri, Fabrizio De Andrè. Accostamento insolito, molti oserebbero azzardato, ma se due artisti riescono attraverso la forze delle rispettive parole a cucire uno specchio veritiero ed efficace del loro tempo alle canzoni forse nessun paragone è poi così azzardato.
Se De Andrè da Genova parlava di anni duri e di bombaroli, Anastasio da Sorrento porta un singolo in gara, “Rosso di rabbia”, che rosso a caso non è.
Si immedesima nel fervore emotivo dello stato d’animo di un terrorista (rosso di brigata), qualcosa di meravigliosamente inconcepibile per un ragazzo del suo tempo e dei suoi anni. Il brano uscirà poi nella sua versione registrata nel prossimo disco, in uscita il 7 Febbraio, “Atto zero”. Contenente una trilogia di brani che lo stesso rapper definisce “del sabotatore” (eccoci, un po’ come del bombarolo).
Allora probabilmente, e non per puro campanilismo, Anastasio merita di vincere questo festival. Tante, troppe, le polemiche che hanno accompagnato la kermesse canora più famosa d’Italia, molte delle quali legate dalla paura verso l’inconscio, verso il timore delle novità. Novità che spesso graffiano, che sono urticanti, che hanno portato alla stigmatizzazione di personaggio come Achille Lauro (di nuovo in gara) o Junior Cally (massacrato da posizioni femministe) o da nuove onde sonore come il rap, la trap e tutte le declinazioni elettroniche e rock che si discostano dai canoni sanremesi del melò pop.
Forse osare non è peccato, perchè la lunghissima storia di questa manifestazione che compie settant’anni ha raccontato di controversi e coraggiosi autori, come Vasco Rossi, Rino Gaetano o Luigi Tenco che hanno saputo raccontare in maniera del tutto singolare, fuori dai canoni del loro tempo, emozioni e storie diventando transgenerazionali.
Il rap, le nuove metriche sonore, non sussistono in maniera pregiudizievole per nuocere o fare “controformazione” ai più giovani. Esistono artisti come Anastasio dal grande talento creativo e comunicativo, dall’efficace forza evocativa e capaci appieno di insediarsi nella categoria dei nuovi cantautori.
Godiamoci il Festival, auguriamoci una vittoria meritocratica e non meravigliamoci più se il web nelle ricerche correlate “osa” accostare Anastasio a Fabrizio De Andrè.