Sudan è svolta per il neo-governo, la mutilazione femminile è finalmente reato
Finalmente in Sudan le mutilazioni femminili sono un reato punibile con una multa e tre anni di reclusione. Il fenomeno considerato un rito obbligato tocca nove bambine su dieci, ma il governo si dice pronto a combattere questa piaga sociale ed eliminarla del tutto entro il 2030.
Numerose sono le campagne di associazioni locali che lavorano a programmi di sensibilizzazione per aiutare bambine e ragazze africane obbligate, da una convenzione sociale, a sottoporsi alle mutilazioni dei genitali. Secondo le stime delle Nazioni Unite sono circa duecento milioni le donne che hanno subito almeno una mutilazione in uno dei ventisette paesi tra Africa, Asia e Medio Oriente dove si pratica ancora tutt’oggi.
Di cosa si tratta e come avviene?
Come negli uomini la circoncisione corrisponde all’asportazione del prepuzio, la parte dei genitali cosiddetta “femminile”, e conferisce più potere alla virilità, così per le donne esiste una mutilazione che elimina la parte “maschile” dai genitali femminili. Se ne riconoscono tre diversi tipi che si differenziano per il numero di parti specifiche asportate:
la clitoridectomia parziale o totale riguarda la rimozione del clitoride, diffusa principalmente nell’Africa occidentale, è praticata in età neonatale tra le comunità cristiane e dai quattro ai quattordici anni nelle comunità musulmane.
L’escissione, diffusa nell’Africa sub-sahariana, oltre al clitoride prevede anche la rimozione totale o parziale delle piccole labbra.
Infine, l’infibulazione comporta una asportazione totale di clitoride e piccole labbra, e in aggiunta una “cucitura” delle grandi labbra, lasciando un piccolissimo spazio aperto per la fuoriuscita delle urine e del flusso mestruale. È una delle pratiche più cruente diffusa nell’Africa orientale e praticata in un’età compresa tra gli otto e i quattordici anni nelle comunità animiste e musulmane.
Esistono poi una serie di diverse manipolazioni che si infliggono ai genitali femminili che cambiano da etnia a etnia, e vanno dal punzecchiamento, alla cauterizzazione o all’allungamento del clitoride, o ancora dal taglio alla corrosione con dell’acido della vagina per restringerla.
Nella quasi totalità dei casi le mutilazioni non prevedono la somministrazione di un’anestesia e l’ambiente e gli utensili predisposti spesso provocano infezioni, emorragie gravi o la morte.
Tra credenza e pratica sociale
Sebbene la decisione del Sudan rappresenti un importante passo avanti, le mutilazioni femminili sono, ancora oggi, un’usanza troppo diffusa. Una pratica che si è radicata nel tessuto sociale di talune comunità che, seppure diverse per area geografica e tradizioni culturali, sono tuttavia accomunate tra loro per il rapporto tra valore simbolico ed economico che la mutilazione femminile assume per le giovani donne in età da matrimonio.
Un vero e proprio scambio commerciale quello che accade in queste comunità e che coinvolge madri e figlie in una pratica che ha origini così antiche da perdersi nelle pieghe del tempo. Una giovane donna è promessa ad un uomo che si impegna a sborsare un cospicuo compenso alla famiglia, e il tipo di mutilazione assegna un valore alla sua verginità. Una tradizione crudele e pericolosa che assicura la purezza e l’integrità di una donna annientandone la dignità e modificandone la naturale composizione fisica.
Di fatto la mutilazione dei genitali modifica la postura del corpo femminile poiché porta le piccole e giovani donne a cambiare inevitabilmente il modo di camminare e posizionare le gambe in seguito alla mutilazione subita. L’infibulazione per esempio, l’operazione più invasiva, vieta alle ragazze ogni pratica “mascolina” come la corsa, giocare a palla e stare sedute con le gambe divaricate.
Una esigenza questa di eliminare ogni traccia di forza e potenza dal corpo femminile, attraverso un rituale crudele e invasivo, che permette al padre prima e al marito poi di giocare un ruolo fondamentale nella vita della sua donna: correggendo la sfera più intima, si condiziona dall’interno ciò che poi la donna rappresenterà all’esterno, come moglie e madre.