Alla scoperta delle battaglie contro gli stereotipi di genere
“L’uomo deve essere virile, forte, maschio e non deve permettersi di piangere; la donna deve sottostare alla volontà del suo uomo, deve sposarsi arrivando vergine al matrimonio e avere dei figli di cui si occuperà assieme alla casa; gli omosessuali sono liberi di fare ciò che vogliono ma a casa loro”. Queste frasi le abbiamo sentite spesso per la stragrande maggioranza del secolo passato ma, per fortuna, grazie al coraggio e alla perseveranza di molte donne ed uomini, possiamo affermare che stiamo cominciando seriamente a viaggiare su binari diversi: quelli con destinazione la libertà, l’accettazione del proprio corpo e della propria essenza, il rispetto e l’amore verso qualsiasi forma di diversità e l’abbattimento degli stereotipi di genere.
Un detto cita così: “se vuoi comprendere il presente devi conoscere il passato”. Giustissimo! Ma non ritornando ai tempi in cui le donne sono riuscite a conquistare il diritto di voto, qualche passo indietro è assolutamente necessario. Per rendere la comprensione più agevole al lettore, sarebbe meglio dividere le battaglie in una sorta di filoni: quelle delle donne, quelle degli omosessuali e transessuali ma, a sorpresa, anche quelle appartenenti al genere maschile.
Nell’Italia – ma anche nel mondo occidentale – degli anni ’60 la figura della donna era strettamente collegata alle faccende domestiche, alla crescita della prole e completamente scollegata alla possibilità di emancipazione e di costruzione di una carriera. Le donne non tendevano a scoprirsi sia per pudore che per convenzione sociale: persino in spiaggia era d’uso comune il costume a pezzo unico. La televisione non era ampiamente diffusa e a buon prezzo come oggi: decine e decine di persone si riunivano in una sola stanza per seguire i giochi televisivi condotti dal grande Mike Bongiorno. Eppure da questa scatola seguita da milioni e milioni di telespettatori e telespettatrici avrebbe fatto la sua comparsa una donna che avrebbe destato polemiche e scandalo: Raffaella Carrà. Ballerina e cantante bolognese, icona gay e pilastro della televisione italiana, ha mandato subliminalmente un messaggio forte e incisivo semplicemente mostrando il suo ombelico: il corpo di una donna appartiene ad una donna e ha diritto di farne ciò che vuole e di mostrarlo come meglio crede. Il suo successo ed il suo talento erano più forti delle forze interne alla Rai le quali non gradirono affatto questo balletto a ventre scoperto e, infatti, chi non conosce la storia della sua carriera che non è per nulla finita?
Il corpo della donna non apparteneva alla donna stessa. Uno stereotipo che ha provocato sofferenze immani soprattutto quando si doveva scegliere se portare avanti una gravidanza oppure no in quei tempi in cui l’aborto non era legale. Emma Bonino, oggi leader del partito “+Europa” si è battuta aspramente assieme al suo storico compagno d’avventura Marco Pannella per la legalizzazione dell’aborto. Il 22 maggio del 1978 viene legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza. Da quella data, nonostante ci sia voluto ancora molto tempo, si è dato inizio all’abbattimento dello stigma della donna come mero strumento per la procreazione aprendo nuove prospettive per il genere femminile sul rapporto con il proprio corpo ed con il piacere sessuale. Dopo decenni, oggi le donne sono sessualmente emancipate, possono non aspettare il matrimonio per avere le loro prime esperienze e qualora non desiderassero o non se la sentissero di portare avanti una gestazione possono interromperla senza il rischio di essere arrestate. Attenzione: l’emancipazione sessuale femminile avrà avuto il merito di abbattere alcuni stereotipi ma il demerito di crearne un altro ovvero quella della “donna facile” che si collega all’estremo pregiudizio nei confronti delle prostitute, la più grande dimostrazione vivente dell’ipocrisia e della doppia morale umana.
Le prostitute non sono quasi mai considerate come delle persone, degli esseri umani che possono provare dei sentimenti come tutti gli altri: esse vengono viste come degli automi pronti a fare sesso a qualsiasi ora, e in qualsiasi momento e in qualsiasi posto. Eppure esse sono delle lavoratrici private della loro dignità perché impossibilitato ad esercitare in sicurezza e in piena legalità la loro professione. Il bigottismo resta e la criminalità organizzata ne approfitta. Non solo! Esse sono anche donne con dei sogni. La più celebre prostituta italiana è senza dubbio Efe Bal: in un’intervista a Corrado Formigli nel programma “PiazzaPulita” su La7 ha parlato della sua battaglia per la legalizzazione della prostituzione ma ha anche svelato il suo lato umano e femminile raccontando il suo più grande sogno: operarsi per diventare una donna a tutti gli effetti e trovare l’amore della sua vita. Consideriamo, inoltre, la funzionalità sociale che le prostitute potrebbero rivestire in mancanza di figure professionali adeguate come quelle delle assistenti sessuali invece presenti in paesi come l’Olanda nel raggiungimento del benessere psicofisico in persone con disabilità fisica e mentale le quali hanno diritto ad una sana e soddisfacente vita sessuale.
Gli stereotipi di genere (e non) ci limitano e ci inducono ad una visione della realtà offuscata, piena di paletti e, in casi estremi, a repressioni e violenza. Ovviamente, questo viaggio che abbiamo iniziato e che continuerà con i prossimi articoli hanno come scopo la conoscenza e la comprensione di diversi universi tra loro che abbiamo il dovere di provare a trasmettere anche a chi la pensa diversamente, con profondo rispetto e senza giudicare: non dimentichiamo che chi ha radicato in sé profondi modelli stereotipati è stato sfortunato nel non aver ricevuto i giusti insegnamenti in materia.