Cinema e psicologia hanno molto in comune, ce lo spiega lo psicologo Alfonso Di Leva. Una poca accuratezza nel trattare di psicologia/psichiatria sullo schermo, da parte dei professionisti del settore, può alimentare inconsapevolmente il rifiuto verso il malato nella vita di tutti i giorni.
Il mondo corre velocissimo ma continuiamo ad avere tempo per un film o una serie tv. Lo schermo ha una forte influenza su di noi, sulla nostra conoscenza della realtà. A volte crediamo di sapere qualcosa soltanto perché l’abbiamo sentito in un film. “Ciò che mi hanno detto” è ben diverso da “Ciò che conosco”, bisognerebbe non dimenticarlo. Spesso però lo facciamo perché quell’attore è davvero talentuoso e quella scena sembra più reale della realtà stessa. Abbiamo parlato con lo psicologo Alfonso Di Leva di questo potere che ha il cinema e del delicato compito dei professionisti del settore di rappresentare certi temi particolari, come la condizione del malato mentale, con la giusta attenzione.
“Lie to Me, In Treatment, Ragazze Interrotte, A Dangerous Method” sono solo alcune delle serie e dei film che ci hanno tenuti incollati allo schermo, grande o piccolo che sia. Perché questo connubio funziona così bene?
“Cinema e psicologia vivono entrambe di emozioni, motivazioni e comportamenti dell’uomo, storie di vita. Rappresentano l’uno per l’altra una complessa materia di studio. Il Cinema riesce a riprodurre l’effettivo funzionamento della mente umana più di quanto riescano le forme narrative classiche; da ciò ne deriva l’interesse rivoltogli in campo psicologico.
Quando sono stati i registi e sceneggiatori ad avvicinarsi alla malattia mentale, molti sono stati in grado di scuotere le coscienze; tanti altri hanno trattato il tema con superficialità e scarsa accuratezza.”
Ci puoi fare qualche esempio?
“Ne è un esempio il film Split che ha come protagonista un uomo affetto da disturbo dissociativo dell’identità, cioè che soffre di multiple personalità. Viene mostrato come un freddo, spietato e organizzato assassino e rapitore, ma non rappresenta la condizione quotidiana di persone che soffrono in silenzio di una condizione dolorosa, paurosa e spesso debilitante in cui il concetto del “io chi sono?” è diviso in parti frammentate. Si è badato spesso alla spettacolarizzazione di malattie piuttosto che rappresentare in maniera chiara e limpida la realtà.”
Il perché di questo scarso interesse verso la realtà così com’è?
“Questo perché quando si parla del grande schermo veniamo colpiti e interessati maggiormente da quanto sia più distante possibile dai nostri canoni di valutazione.
Quando vediamo un film particolarmente fantasioso si mette in moto un meccanismo, quello della sospensione dell’incredulità, cioè la volontà di “mettere in pausa” le nostre facoltà critiche per ignorare le incongruenze del film e godercelo in pieno. Nel caso dei film che trattano di malattie mentali, specialmente alcune come quello delle personalità multiple, la sorpresa e la curiosità dello spettatore sono ancora più forti, perché non stiamo parlando di una finzione, ma di un qualcosa di reale ma che non consociamo veramente, di cui anzi non sappiamo quasi nulla e il fatto che sia tanto reale quanto sfuggevole ne fa aumentare l’interesse.”
Un esempio di disturbo che solitamente viene mistificato?
“Lo schizofrenico paranoide, che però in alcuni film viene dipinto come un folle omicida e violento dal comportamento imprevedibile, ed in altri, per esempio, come un genio incompreso dal talento straordinario, vittima di un evento traumatico. Alcuni film (non tutti per fortuna) possono alimentare lo stigma verso questi gravi problemi psicologici. Stigma significa avere una visione negativa di una persona nella sua globalità sulla base di alcuni dettagli che la riguardano. Lo stigma può manifestarsi, per esempio, anche quando si decide di smettere di frequentare una persona solo perché si è venuti a sapere che è malato o che assume psicofarmaci.”
“Una persona schizofrenica non è più violenta di chi non schizofrenico non lo è. Anzi, è più probabile che sia stata essa stessa la vittima di comportamenti aggressivi o bullizzanti durante la sua vita.”
A seguito delle polemiche generate da “13 reasons why- Tredici”, oggi è possibile notare su Netflix come all’avvio della serie vi siano una serie di messaggi di sensibilizzazione sul tema della depressione, dell’autolesionismo e del suicidio. Credi che questi messaggi siano realmente efficaci o possano considerarsi come “cerotti su una ferita aperta”?
“Sono efficaci se fatti in un certo modo. Come il film A girl like her, che tratta di bullismo, O Cyberbully, che tratta di cyber bullismo; se costruiti in questo modo, cioè mostrando le reali conseguenze di un determinato disagio psichico e in quale modo il malato può chiedere aiuto, allora ben vengano.”