All’interno della cosiddetta “cultura della piattaforma”, capita di incontrare anche il consumatore individualizzato, apparentemente capace di controllore la propria esperienza di spettatore, sia che questo significhi iniziare a vedere un film o una serie su una piattaforma e continuare su un’altra, sia guardare da un dispositivo mobile o accedere a cataloghi digitali attraverso piattaforme di streaming e molteplici download digitali ovunque sia disponibile una connessione a internet.
In tutti questi casi, l’accesso all’intrattenimento viene presentato come mobile, permanente e interattivo, permettendo all’utente molto più controllo che in passato. Allo stesso tempo, gli utenti possono restare in costante contatto con amici e familiari attraverso gli smartphone, i sistemi di messaggistica e persino social media.
Se la digitalizzazione del prodotto audiovisivo ha avuto impatto e viralità, come visto, camminando di pari passo tra innovazione dei supporti e varietà dell’offerta lo è anche per una nuova connotazione del prodotto, ben precisa e riconoscibile.
Con questa formulazione si mettono in evidenza due punti importanti: il primo, la digitalizzazione ha portato a conseguenze opposte rispetto alle previsioni, perché si è verificata una proliferazione delle piattaforme e una convergenza dei contenuti; secondo, essa non è solo una questione di bit, ma un insieme di pratiche mediali in atto tanto dall’industria che dal pubblico, mediati i quali i contenuti dispersi e collegati interagiscono tra loro e oltrepassano i tradizionali confini tra i veri media.
La transmedialità è un fenomeno che investe l’industria culturale nel suo complesso, ma la serialità televisiva è particolarmente esposta da questo punto di vista, poiché è per sua stessa struttura un testo infinito e moltiplicabile in partenza. Nello specifico la nuova serialità tende sia a sviluppare matrici di narrazione che si propagano su diverse piattaforme, sia a predisporre, all’interno delle singole serie, mondi diegetici espandibili di continuo.
Le serie tv si espandono tramite videogame, mini-episodi pensati espressamente per il web o per dispositivi mobili (mobisodes), profili twitter o blog dei personaggi e così via. Uno dei maggiori esempi potrebbe essere quello di Lost nel suo inafferrabile e complesso mondo narrativo.
Concetto fondamentale per l’identificazione odierna del prodotto audiovisivo è anche quella del brand. Oggi la definizione di marca (branding) è la priorità assoluta del marketing, esempi come Starbucks, SonyeNike riescono ad applicare prezzi alti ma godendo comunque di alta fedeltà: un marchio forte, quindi, diventa in grado di generare profitti in molti modi, riuscendo ad immettersi nelle varie finestre di mercato disponibili.
Se poniamo il caso, di una serie televisiva percepita come prodotto di valore, magari perché prodotta dalla HBO o perché ha raggiunto essa stessa lo status di brand, la catena di profitti può allungarsi enormemente, grazie al product placemente già durante la messa in onda. Quindi ne può seguire la vendita di DVD o diritti di visione e di ricompera per altri emittenti, nazionali o anche all’estero, il merchandising.
Serena Palmese
Fonte copertina Mc Donald’s