Il grande successo, in termini d’ascolto ma anche di dibattito mediatico, che ha fatto seguito a serie di alto spessore contemporaneo come Gomorra e Suburra potrebbe indurci a credere all’effimero boom di un fenomeno di tendenza.
Ma la suggestione più verosimile è quella che porta a ragioni ben più profonde e radicate culturalmente, che hanno sempre posto il nostro paese in un rapporto di fascinazione nei confronti del giallo, del poliziesco e di quel realismo che spesso ha posto in contrapposizione lo Stato e le associazioni criminose.
Partendo da lontano, e cercando di percepire nel profondo le ragioni di una tale fascinazione, potremmo far riferimento all’analogia di Walter Benjamin che ci parla di “storie di mare” e “storie di campagna”, richiamando le due arcaiche tribù di narratori.
Benjamin parla del piacere che gli esseri umani hanno sempre provato nell’ascoltare storie: sia le storie di terre lontane, raccontate da navigatori e mercanti che hanno viaggiato molto, sia le storie permeate di senso del luogo e ricche di tradizione, raccontate da contadini che non si sono mai mossi dal paese d’origine. A questi due filoni di narrazione potremmo far corrispondere l’evoluzione del poliziesco italiano, da genere di mare a genere di campagna, senza ovviamente escludere le varie confluenze e miscelazione.
Negli anni novanta già tre serie contribuirono a porre le premesse di questa nascente tradizione che poneva gli standard alla formula del poliziesco all’italiana: L’ispettore Sarti basato sui racconti di Loriano Macchiavelli, ancora non un grande successo di ascolti ma largo consenso a livello di stampa e critica. Seguirono Il commissario Corso e Un commissario a Roma. Di rilevanza fu la scelta degli interpreti. Il poliziesco all’italiana assunse una forma compiuta, e ottenne il riconoscimento definitivo del pubblico e critica, con la prima edizione del già sopracitato Maresciallo Rocca (1996-2005), dove il protagonista è un comune eroe del quotidiano, una figura di investigatore esperto e sagace, pieno di humor, e insieme anche figura paterna, naturale e simbolica, punto di riferimento morale della sua comunità di provincia.
Proprio la provincia diviene un altro grande ingrediente nella formula che vedeva “estraniazione dal milieu metropolitano”. Consisteva nella collocazione di storie in località di provincia, reali o immaginarie: la Viterbo per Il maresciallo Rocca, poi Gubbio per Don Matteo, Vigata al Commissario Montalbano, Città della Pieve a Carabinieri e la provincia toscana per il Commissario Manara. Altra grande componente del paradigma poliziesco italiano è “l’umanizzazione” dei protagonisti, spesso affrontando la sfera privata e familiare, guardandoli nella dimensione domestica, nella materia narrativa del poliziesco.
Il poliziesco diventa importante anche in termini di riproposizione sociale.
Particolare attenzione, nell’immaginario della sua controversa fascinazione, è anche il rapporto di quella narrativa che frappone Stato e mafia. Singolare è l’episodio, alla fine del 2007, che canalizza l’attenzione anche degli organi di stampa e siti internet internazionali, ovvero la cattura di boss mafioso latitante nel quartiere Zen di Palermo. Il personaggio, seppur facente parte di una cosca di spicco, non era di un calibro tale da meritare cotanta attenzione ma la singolarità fu che venne sorpreso, nel momento dell’arresto, mentre assisteva all’ultima punta del Il capo dei capi: miniserie di canale 5 che ha raccontato la cruente ascesa del clan dei corleonesi, sotto il brutale comando di Totò Riina.
Come afferma anche la Buonanno «la vita reale irrompe nella fiction mafiosa». La crime-story, infatti, è per sua natura aperta e permeabile agli influssi di cronaca. Queste storie che riguardano “l’underworld” criminale hanno da sempre suscitato una potente attrazione. Primo grande fenomeno di popolarità in questo senso è senza dubbio attribuibile a La Piovra (Rai 1 e Rai 2, nella prospera longevità che va dal 1984 al 2001). Narrativa epica del conflitto asperrimo in corso in quegli anni tra Stato e mafia, grande successo anche internazionale e capacità di insediarsi stabilmente anche nell’agenda del dibattito politico nazionale.
Ma la serie ha rivelato fin dalla sua genesi una narrativa incline alla metamorfosi oltre che essere eclettica, generi diversi nella cooperazione fra Damiano Damiani (regista incline al cinema di impegno e civile, Il giorno della civetta) e Ennio De Concini (vincitore di un Oscar con Pietro Germi, Divorzio all’italiana), oltre che l’aggiunta di componimenti musicali di Ennio Morricone.
Nel decennio tra il 1998 e il 2008 la vasta produzione della televisione pubblica esplora la variante biografica della mafia-story, per raccontare le vite degli eroi-martiri caduti nella lotta contro la criminalità (Brancaccio, Giovanni Falcone, Joe Petrosino) o per parlare dei boss (L’ultimo dei corleonesi). Mediaset, da parte sua, attinge egualmente alla cronaca per le biografie di eroi anti-mafia (Ultimo, Paolo Borsellino) ma anche della controparte come Il capo dei capi o Provenzano.
A contribuire al successo, ma sicuramente in una chiave high-concept e cinematografica più vicina ad un prodotto come La Piovra, è sicuramente la piattaforma Sky. Nel 2008 arriva infatti Romanzo Criminale che inaugura il modello di ideazione, produzione e messa sul mercato per il quale la serialità di Sky è più nota. La serie in questione supera sicuramente gran parte della produzione televisiva italiana recente per inventività visiva e forza narrativa, adattamento in maniera efficace il testo sorgente, ovvero il romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo, ma anche ad estenderlo e modificarlo, seguendo una strategia vicina a quel prodotto platealmente senza limiti come quello di produzione HBO.
Segue Gomorra, in onda dal 2014 su Sky Atlantic, adattamento del romanzo di Roberto Saviano, spingendosi ulteriormente oltre: ad esempio l’uso del dialetto. Il polo moralmente positivo, che in Romanzo Criminale era rappresentato dal commissario Scialoja, viene completamente eliminato, per cui la storia viene raccontata esclusivamente dal punto di vista criminale. Addirittura riuscendo, inaspettatamente, nel processo di ulteriore “disumanizzazione” dei propri protagonisti nel corso della serie, è il caso di Ciro Di Marzio, prima con una luce favorevole, rivelandosi poi killer senza scrupoli, aberranti violenza che si segnalano come tra le più cruente della storia televisiva italiana. Ha fatto seguito la serie 1992 (che ha visto tra l’altro un seguito 1993 e potrebbe proseguire), ambientata nel periodo di tangentopoli, che si distingue per non essere tratta da un testo preesistente e per l’utilizzo di alcuni volti noti come l’attore Stefano Accorsi, anche se ha avuto una minore riuscita.
Ma Sky nell’aderire a tale processo internazionalizzante produce anche piacevoli eccezioni, produzioni più vicine a quelli che sono gli standard della tv generalista a inquadramento locale come I delitti del Bar-Lume. Miniserie tratta dai romanzi di Marco Malvaldi, ecco quindi l’ambientazione di provincia (L’isola d’Elba), bassa serializzazione, forte componente comica, Sky quindi, si dimostra anche in una fase di sperimentazione tra formule più vicine alla tradizione nostrana e con prodotti più innovativi.
La sfida si dilata ulteriormente con l’arrivo del concorrente streaming Netflix e nello specifico con la serie Suburra, tratta dal film di Stefano Sollima.
Proprio la vicinanza di produzione a Sky (lo stesso Sollima di Romanzo Criminale e Gomorra), la casa di produzione Cattleya, porta la serie (che racconta le trame criminose anche dal punto di vista politico e istituzionale di Roma nella sua attualissima inchiesta di Mafia Capitale) a questi standard di high-concept che mai come in questi anni collocano l’Italia in un ruolo primario di produzione nel paradigma locale-globale.
Serena Palmese
Copertina da Sky tg24