La dieta mediterranea è oggi fonte di ricerca per il MedEatResearch dell’Università Suor Orsola Benincasa e di studio per gli studenti del Liceo Flacco di Portici
La dieta mediterranea, come riporta il dossier approvato dall’Unesco, comprende una serie di competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e soprattutto la condivisione e il consumo di cibo
Benefici per la salute
Da sempre medici e nutrizionisti consigliano di seguire uno stile di vita alimentare basato sulla dieta mediterranea. I suoi effetti benefici sono dovuti alla varietà e alla qualità del consumo degli alimenti di cui è composta: cereali, frutta, verdura, semi e olio di oliva viaggiano sulla corsia preferenziale, mentre si consiglia un uso moderato di carni bianche, pesce, legumi e uova, semaforo rosso invece per le carni rosse e i grassi animali. Adottare questo tipo di alimentazione permette al nostro organismo di prevenire lo sviluppo di patologie cardiache e di malattie come il cancro e l’Alzheimer. Diversi studi di ricerca hanno dimostrato come l’incidenza di malattie croniche e di mortalità sia maggiore nei grandi contesti urbani dove si consumano cibi elaborati e minore nelle piccole comunità dove si predilige un’alimentazione più semplice seguendo il calendario della stagionalità.
Benefici per l’ambiente
Scegliere di mangiare seguendo la dieta mediterranea significa anche privilegiare il proprio territorio! Questo stile alimentare infatti affonda le sue radici proprio nella terra, quella terra che, dall’antichità, l’uomo ha imparato a conoscere e a coltivare. Non dimentichiamoci che prima di diventare cacciatore l’uomo poteva cibarsi di soli ortaggi. È, infatti, grazie a questo ancestrale equilibrio uomo-terra che si è formata quella che oggi definiamo la “piramide alimentare”: un insieme di alimenti che l’uomo ricava e trasforma grazie all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca, in un processo che tiene conto dei cicli stagionali, dell’uso intelligente delle risorse naturali e della salvaguardia della biodiversità.
Importanza socioculturale
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei!”
Non è di solo cibo che si tratta, la dieta mediterranea è anche altro. Cosa mangiamo è solo uno dei tanti aspetti che ci differenzia da un altro popolo ma come trasformiamo il cibo in senso di appartenenza ci differenzia da un’altra cultura. E la dieta mediterranea si fonda sulla convivialità, sul valore socioculturale che i popoli del mediterraneo hanno maturato intorno al cuore della casa. La cucina, cucinare, sono abitudini che non dovrebbero ridursi al bisogno di nutrirsi, bensì dovrebbero simboleggiare un momento di coesione familiare e di armonia sociale. La famiglia moderna ha sostituito queste abitudini con i pasti veloci e le monoporzioni, mentre un tempo la famiglia si riuniva intorno ad un tavolo per consumare un piatto della tradizione cucinato della mamma o della nonna. E non a caso l’Unesco fa una menzione particolare al valore della donna:
“La donna ha svolto e svolge un ruolo fondamentale nella trasmissione lungo le generazioni della cultura e delle tradizioni della dieta mediterranea: partecipa alla produzione agricola, trasforma le materie prima agricole in piatti della tradizione, si preoccupa della conservazione degli alimenti e della salute della famiglia”
I Popoli del Mediterraneo
Nel dossier della candidatura della dieta mediterranea presentato all’Unesco, la comunità “rappresentativa” è il Cilento in Italia, ovvero il luogo di studio e ricerca dove il fisiologo americano Ancel Benjamin Keys elaborò la teoria, secondo la quale, l’incidenza di malattie croniche era inferiore in quelle comunità che seguivano un determinato stile di vita alimentare, detto “dieta mediterranea”. Ma l’Italia non è la sola ad aver contribuito all’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, costituiscono il Gruppo di Cooperazione Europeo Territoriale la Spagna, la Grecia, Il Marocco, alle quali si sono aggiunte successivamente Cipro, Portogallo e Croazia. Questo riconoscimento ufficiale non determina un punto di arrivo, anzi apre le porte a un serie di responsabilità sulla tutela, la valorizzazione e diffusione dei concetti e dei valori propri della dieta mediterranea.
Il MedEatResearch e il Museo Virtuale della Dieta Mediterranea
Il MedatResearch nasce nel 2012 come Centro Di Ricerche Sociali sulla dieta mediterranea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sotto la direzione degli antropologi professor Marino Niola e professoressa Elisabetta Moro, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare il patrimonio culturale enogastronomico dei paesi del mediterraneo. Attraverso uno studio capillare, e avvalendosi di collaboratori come medici, nutrizionisti ed esperti in comunicazione, il centro ricerche ha indagato sulla tradizione e sul valore simbolico dei cibi dal punto di vista medico, culturale e sociale. In quest’ottica nasce il progetto del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea: un centro di raccolta digitalizzato che raccoglie le storie, le memorie, e i racconti dei pionieri che hanno contribuito, e dei giovani che continuano a farlo, allo sviluppo di questo bene immateriale che è la dieta mediterranea.
Nel museo è possibile consultare una vera e propria “biblioteca vivente” fatta di videointerviste, come quella dei simpatici nonnini campani che testimoniano gli effetti positivi di questa dieta attraverso la loro longevità, o come le interviste degli “addetti ai lavori”: esperti in enogastronomia che diffondono i sapori e i valori della dieta mediterranea attraverso la ristorazione. Nel 2016 Il MedEatResearch ha vinto il Premio dell’Unione Europea per il Patrimonio Culturale “Europa Nostra Awards 2016”, conferendo alle videointerviste una delle più alte onorificenze nel campo della conservazione e sensibilizzazione sui Beni Culturali del Patrimonio Immateriale.
Ma il MedEatResearch è anche didattica, si è occupato infatti del progetto “Granai del Mediterraneo Junior” in collaborazione con il Liceo Q. O. Flacco di Portici. Gli studenti hanno partecipato ad uno studio antropologico sulle dinamiche di una “comunità tipo”, imparando a vivere di pratiche e rituali che oggi sembrano lontane dalle nostre abitudini ma che sono alla base della nostra tradizione culturale.