Abbiamo fatto una chiacchierata con Marco De Simone, ex giocatore del Napoli stagione ’84-’85, su Diego Armando Maradona, scomparso recentemente per attacco cardiaco a soli 60 anni. De Simone ci ha raccontato molti aneddoti del campione, ricordando quel giovane argentino col “sorriso stampato sulla faccia” e le sue fragilità.
Dall’esordio nel ’79 nella Frattese in serie D è passato a giocare nel Catania in serie A , poi nel Napoli nell’84, nel Messina…Ha detto addio al calcio giocato nel ’98. Com’è proseguita poi la sua carriera?
“Dopo sono passato dal campo ad allenare, nel settore giovanile del Giugliano, a Sarno, a Terni. Poi sono diventato direttore sportivo del Giugliano, dove crescemmo tanti talenti, alcuni dei quali arrivati in serie A e B. Da Giugliano sono arrivato a Terni come responsabile del settore giovanile. Da lì sono passato a essere osservatore per la prima squadra, la Ternana. Quest’anno me lo sono preso di riposo. La serie D e l’Eccellenza sono state rovinate dal coronavirus. Il protocollo della federazione, per esempio, impone di fare tamponi ogni venerdì a tutta la squadra e non è semplice trovare una società dilettante che possa affrontare tutti questi nuovi costi.”
La sua stagione a Napoli, ’84-’85, coincise con il primo anno in Italia di Diego Armando Maradona. Come compagno di squadra e come amico, ci racconta del vostro rapporto?
“Molti ricordano Diego per l’anno dello scudetto. Ma nel primo anno si vide il grande campione che prese una squadra mediocre e la fece diventare grande. La famosa partita contro l’Udinese ci portò a fare il ritiro a Vietri sul Mare. Lì ci fu il confronto squadra-società. Lui promise alla società che da quel giorno ci sarebbe stata la rivincita. Nel girone di ritorno vincemmo in casa contro l’Inter, pareggiammo con la Juve, con il Verona, vincemmo ad Ascoli e Firenze, vincemmo con la Roma…Lui riusciva a trarre il meglio dai suoi compagni di squadra. Eravamo amici. Venne a mangiare la pizza e la mozzarella a casa mia. Prima di andare via salutò con un bacio in fronte mia madre e disse che era stata come una serata con sua mamma”
A proposito di Maradona e il suo essere leader, Ciro Ferrara ha raccontato che lui aspettava che si svuotasse lo spogliatoio per parlare a quattrocchi con chi sbagliava qualcosa. Diego era così già dal primo anno?
“Il Leader è colui che va a curare nei minimi particolari ogni cosa, anche il fuoricampo. Se tu commetti un errore e trovi una persona che ti urla contro in mezzo al campo stai sicuro che non giocherai con serenità e tranquillità. Quello che ha detto Ferrara è importantissimo. Lui analizzava in disparte con te l’errore così da evitarlo la volta successiva. Lo faceva a fin di bene, per far crescere la squadra. Iniziò a lavorare non solo sui piedi ma anche sulla testa di ognuno. Io non l’ho mai visto lamentarsi per un passaggio sbagliato, quando succedeva ti incoraggiava e ti diceva: “Vai avanti, non fa niente, posso sbagliare anch’io, la prossima volta farai meglio”.
Considerato che la cronaca l’ha inseguito e tormentato per decenni, lei che lo conosceva bene e, dunque, ha il diritto di parlare di lui, può dirci chi era Diego il giovane argentino dietro la maschera del grande campione?
“Lui ha commesso degli errori, ma il grande uomo è colui che si assume le sue responsabilità, cosa che parecchi non fanno. Chi non commette errori? La differenza tra noi e lui è solo la risonanza. Lui disse delle parole che mi colpirono molto: “I ragazzi devono guardare Diego come calciatore e non come uomo, perché come uomo io non posso dare esempio a nessuno. Io ho commesso tanti errori e non voglio che i giovani commettano gli stessi sbagli che ho fatto io”. Diego era fragile ma allo stesso tempo un ribelle. Noi a Napoli lo abbiamo amato perché andava contro i più forti, contro il potere. Lui ha deciso di vincere per un popolo che subiva da tanti anni. Ha scelto il Napoli anche se non era una grande squadra per poter costruire un qualcosa insieme, con il popolo. Lui ha scelto una città massacrata, sapendo che però viveva di calcio. Il giovane Diego era quello della partita ad Acerra.”
La partita di beneficenza?
“Sì. Dopo la partita con l’Udinese, quel lunedì andammo su quel campo che era in pessime condizioni, pieno d’acqua e fango, e noi non ci spogliammo, aspettavamo lui. Quando arrivò lui ci disse: “Ma che state facendo? Noi dobbiamo giocare, il ragazzo deve essere operato in Francia”. Il filmato di quella partita dovrebbero farlo vedere nelle scuole calcio, ai ragazzi di oggi che spesso si lamentano per le scarpe o l’erba troppo alta o troppo corta. Il grande campione si adatta a tutto, ha lo spirito di adattamento; gioca davanti a 80 mila persone un giorno, e quello dopo su un campo di periferia per intrattenere la folla e ottenere quei venti milioni di lire da dare ad un ragazzo malato.”
Era solito fare beneficenza?
Era sensibile. Poteva piangere sentendo la storia di qualcuno che non conosceva ma viveva in una brutta situazione. Diego il giovedì portava ai salesiani a Posillipo la spesa per i ragazzi bisognosi. Le persone che lo circondavano lo hanno sfruttato. Era una macchina da soldi. Chi gli voleva bene davvero lo trattava come un essere umano. Ma molti che lo circondavano invece sfruttavano il suo essere “Maradona”. Da questo punto di vista era molto ingenuo, dava l’anima a chiunque”
L’ha più rivisto dopo il vostro anno insieme?
“L’ultima volta che l’ho visto è stato quando ha presentato lo spettacolo di Siani al San Carlo e sono andato a trovarlo all’Hotel Vesuvio. Siamo stati un’oretta insieme e c’era anche Diego Junior. Stava bene ma non l’ho visto sgombro di mente. Lui prima era un ragazzo col sorriso stampato sulla faccia. Quel giorno non l’ho visto sereno. Negli ultimi dieci anni ha perso la madre e poi il padre. Lui li seguiva molto. Ha perso i suoi punti di riferimento e forse questo lo ha cambiato.”
In allenamento le è mai capitato di marcarlo?
“Nella partita finale dopo l’allenamento spesso ero nella sua squadra. Ma quelle poche volte che non ero con lui provavo a marcarlo ma era impossibile. Era un fenomeno. Quando giocava la sua mente era 5-6 secondi più avanti di noi altri. Prima di ricevere già sapeva cosa fare e dove andare.”
A volte lo si sente paragonare ad altri giocatori come Messi o Ronaldo. Cosa ne pensa?
“Maradona era un’artista. Gli altri possono essere solo bravi giocatori o trascinatori.”
Se avesse potuto dirgli addio cosa gli avrebbe detto?
“Gli avrei voluto dire grazie per avermi fatto vivere un sogno. Sarebbe stato il sogno di qualsiasi ragazzo napoletano giocare nel Napoli con lui. Lo porterò nel cuore per sempre.”
Ha un ultimo aneddoto da raccontarci?
“Mi ricordo di una volta che venne a nevicare e vennero sospese molte partite. Noi partimmo da Soccavo per giocare a Firenze. Il Napoli vinse 1-0. Dovevamo andare a Coverciano in ritiro. Il pullman non partiva più. Non sapevamo cosa fare. L’autista pensò di raggiungere un bar che stava a 500/600 metri di distanza per poter telefonare. Diego gli disse di sedersi perché ci avrebbe pensato lui. Prese la sua pelliccia e scese mettendosi in mezzo alla strada con le mani alzate. Pensavamo fosse pazzo, c’era un metro di neve a terra. Un pullman di linea arrivò e pensammo lo avrebbe colpito. Frenò di colpo e così Diego si avvicinò e chiese gentilmente aiuto. L’autista gli chiese un autografo e lui gli disse che gli avrebbe regalato anche la maglia se ci avesse accompagnato, e così fu.”