Il patrono di Napoli: dal martirio al miracolo
Fra i santi dell’antichità, San Gennaro è di certo uno dei più amati dai fedeli, grazie anche al culto che gli tributano i napoletani, accompagnato periodicamente dal mistero della liquefazione del suo sangue. Patrono protettore di Napoli e ormai un punto fermo nel panorama partenopeo.
Chi era San Gennaro?
Nacque a Napoli nella seconda metà del III secolo e fu eletto vescovo di Benevento nel periodo in cui regnò a Roma Diocleziano, sotto il cui impero si consumò la più grave persecuzione dei cristiani. Un giorno San Gennaro si recò a Miseno per partecipare a una celebrazione liturgica ed ebbe la premonizione che stesse per succedere qualcosa di grave al diacono Sossio.
Poco dopo, infatti, lo imprigionarono per ordine dell’imperatore e San Gennaro decise di raggiungerlo in carcere per confortarlo. Qui però fu riconosciuto come cristiano e fu fatto prigioniero. In seguito al suo rifiuto di abiurare, fu condannato ad essere dato in pasto alle belve, nell’arena di Pozzuoli. Durante i preparativi ci si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso di lui e per evitare disordini durante i cosiddetti giochi la pena fu tramutata in decapitazione, che fu eseguita nel Foro di Vulcano, nei pressi della Solfatara di Pozzuoli.
Le origini della festività
Notizie riguardanti il miracolo di San Gennaro risalgono al 15 agosto del 1389 in occasione della festa dell’Assunta a Napoli. Per quest’ultima organizzarono grandi festeggiamenti per accogliere dei notabili provenienti da Avignone e qui esposero la reliquia del Santo. La cronaca racconta che il sangue si era liquefatto come se fosse sgorgato dallo stesso corpo. Da allora il culto si andò intensificando sempre più portandosi con sè credenze popolari e superstizioni. Da allora i napoletani con l’arcivescovo di Napoli e le autorità cittadine pregano devotamente nel Duomo fino all’avvenuta del miracolo della liquefazione, considerato di buon auspicio.
In cosa consiste il rito?
Il rito prevede l’estrazione di un’ampolla, contenente il sangue, da una nicchia della Reale cappella del Tesoro di San Gennaro, nel Duomo di Napoli, e l’esibizione di questa ai fedeli. L’ampolla ha la forma di una grossa lente d’ingrandimento con il manico in argento e un compartimento formato da due vetri al posto della lente. Tra questi sono sistemati due piccoli contenitori, anch’essi di vetro. Il più piccolo è vuoto, mentre il secondo, più grande e tondeggiante, è per metà pieno di una sostanza che appare solida di colore rosso. Dopo averla estratta l’arcivescovo inizia a scuoterla facendo una serie di movimenti piuttosto bruschi tramandati dalla tradizione. Il rito porterebbe proprio alla famosa liquefazione, infatti la sostanza dovrebbe cominciare a mostrare le proprietà di un liquido.
Quando ricorre l’evento?
Sono tre le date in cui si aspetta il ricorrente prodigio. La vigilia della prima domenica di maggio (prima traslazione), il 16 dicembre (anniversario dell’eruzione vesuviana del 1631) e il 19 settembre (data del martirio). L’attesa della liquefazione varia: può durare da qualche minuto ad intere ore. Per i fedeli questo non conta, pregano perché ciò avvenga. È risaputa la superstizione dei napoletani e se il miracolo dovesse tardare o non avvenire vi è la credenza che possa essere di cattivo auspicio. Se dovesse rientrare nei tempi, invece, è festa in città.
Le parenti di San Gennaro
Un aspetto molto interessante del rito è rappresentato dal ruolo svolto dalle “parenti di San Gennaro”. Nei secoli scorsi con questo termine si identificava una sorta di confraternita formata da un gruppetto di una decina di vecchiette che abitavano a ridosso del Duomo e che la gente riteneva imparentate con San Gennaro.
Sull’origine di questa parentela vi sono diverse teorie. Per alcuni l’unico vincolo di sangue sembra derivasse dal cognome di Januario. Questo bastava, infatti, a quante si chiamavano così di sentirsi legittimamente imparentate con il santo. In realtà con il passare del tempo il vincolo spirituale delle fedeli con il Santo si era materializzato a tal punto da essere considerato un grado di parentela.
Ancora oggi le donne napoletane svolgono un ruolo importante e irrinunciabile durante il rituale. Sedute come sempre nelle prime file a loro riservate, si fanno portatrici di una tradizione antica. Infatti, questo gruppo di donne incoraggia il Santo affinché faccia il miracolo accompagnando il rito con delle cantilene in lingua napoletana che si esprimono attraverso espressioni semplici ma che nel contempo sono ricche di contenuto teologico.