Esiste una particolare forma d’amore, ed è l’amore per ciò che è rotto, guasto, consumato.
Una tazzina scheggiata, una vecchia borsa, un orecchino: ricordo di aver tagliato le maniche di un maglione blu che indossavo al liceo e amavo moltissimo, e che un giorno m’era uscito dalla lavatrice dimezzato, per conservarle.
Una forma d’amore che significa celebrazione della memoria, dei ricordi che si annidano come ragni nei difetti e nelle scuciture degli oggetti. Ma è anche una forma di resistenza, e di accanimento, contro il fallimento e contro il tempo.
Quando indichiamo il momento più felice della nostra vita, siamo anche consapevoli che si tratta di un passato remoto che non tornerà mai più, e questo provoca in noi un grande dolore. L’unica cosa che rende questo dolore sopportabile è possedere un oggetto, retaggio di quell’attimo prezioso.
La storia d’amore raccontata da Orhan Pamuk nel romanzo Il Museo dell’innocenza, come ogni storia d’amore, gode di un certo grado di banalità e prevedibilità. Cosa ci sarebbe di così eclatante nel racconto di un uomo che abbandona la promessa sposa, perfetta sotto tutti i punti di vista, per amore di una lontana parente molto più giovane e che inseguirà per ben 8 anni prima di ristringerla fra le sue braccia?
Alle controversie di una relazione travagliata che appassiona a tutte le latitudini e longitudini, ci sono le regole non scritte di una società patriarcale fortemente legata al credo religioso. Lo stesso credo che vieta alle donne di sposare un uomo diverso da quello con cui hanno perso la verginità, o meglio, di avere rapporti al di fuori del sacro vincolo matrimoniale. Infatti Kemal, trentenne rampollo di un’aristocratica famiglia cittadina e la diciottenne Füsun, sua lontana cugina, è folgorato dall’assoluta bellezza della ragazza, che nonostante sia impegnato con Sibel, oltretutto sua promessa sposa, inizia con la parente una relazione raffinata e intensa che va al di là delle leggi morali della Turchia di quegli anni.
Tuttavia il protagonista decide di non lasciare subito la fidanzata e per un primo periodo si ritrova a vivere con un classico piede in due staffe. Per quanto di mentalità aperta, in Kemal sono infatti ben radicati i valori tradizionali trasmessi dal suo paese e dalla sua famiglia. Ma il gioco si spinge oltre un certo limite di sopportazione e integrità: l’uomo arriva così a fidanzarsi con un sontuoso ricevimento in un grande albergo al quale partecipa anche Füsun.
La ragazza, però, restando sconvolta dal suo comportamento opportunista, scompare nel nulla, mentre Kemal perde tutto: vittima di una passione che lo sconvolge e non gli dà respiro e mosso da una struggente nostalgia, inizia a trascurare il lavoro, gli amici e la famiglia e infine decide di sciogliere lo stesso fidanzamento con Sibel. Dopo diversi anni e altrettanti patimenti i due amanti si ritrovano, ma nella vita di Füsun tutto è cambiato.
Il nostro protagonista, però, non si lascia scoraggiare e continua a frequentare lei e la sua famiglia per altri otto anni, durante i quali raccoglie, rubandoli di nascosto, tutta una serie di oggetti che la riguardano: orecchini, mozziconi di sigarette, ditali, saliere, cagnolini di porcellana e così via, dato che «per salvarmi da quest’onda che mi travolgeva, istintivamente prendevo in mano un oggetto, carico dei nostri ricordi e dell’atmosfera di quei giorni felici, oppure lo mettevo in bocca per gustarne il sapore, e scoprivo che mi faceva bene» . Ed è solo quando la sua esistenza giunge a una nuova e dolorosa svolta, la morte di Füsun, che Kemal vede sgretolarsi la sua vita tra le mani e, per rimetterne insieme i pezzi, decide di collezionare quegli stessi oggetti appartenuti all’amata e farli confluire nel Museo dell’innocenza, la testimonianza eterna del suo amore per Füsun.
Una vicenda appassionante in cui la morale, la convenienza, il quieto vivere e i valori saldi di una famiglia vengono travolti e cancellati da una passione più forte del tempo: l’amore di Kemal e Füsun è anche devastazione, rottura degli schemi, schiavitù. Una narrazione con la quale Pamuk, torna a descrivere e mettere in scena la sua amata città, vista attraverso le storie, le vite e gli amori dei suoi abitanti.
Lo stesso autore, probabilmente intenzionato a mettersi in gioco e a dare un contributo ancora più forte allo sviluppo decisivo della trama, fa la sua comparsa nelle ultime pagine del romanzo: Orhan Pamuk, personaggio, si materializza verso la conclusione della vicenda per aiutare l’amico protagonista a raggiungere il suo obiettivo e proprio grazie a un metaforico passaggio del testimone sarà possibile la realizzazione di quel Museo dell’innocenza, incantevole monito all’amore, che oltrepassa i confini del libro per raggiungere direttamente il cuore dei lettori. E come se non bastasse, l’autore ha preso ciò che esisteva tra le pagine del suo romanzo, Il Museo dell’innocenza, e l’ha trasformato in qualcosa di materiale, di fisico, uno spazio da esplorare con tutti i nostri sensi: ha costruito il Museo dell’innocenza.
Pamuk ha davvero messo in pratica quello che nel libro sembra solamente un progetto immaginario: autore e autonomo finanziatore ha dapprima pensato e finalmente inaugurato nel 2012 un vero “Museo dell’innocenza”, situato in una casa a Cucurkuma, uno dei quartieri storici di Istanbul. E a completare il tutto l’autore si è anche speso nella realizzazione del catalogo dello stesso museo, conosciuto col titolo L’innocenza degli oggetti, un testo completamente illustrato che restituisce tutta la magia di quel luogo, uno spazio incantato dove i confini tra realtà e immaginazione sono labili.
Per la prima volta il lettore ha il privilegio di vivere la letteratura al di là della propria immaginazione, toccarla con mano in 83 teche corrispondenti ai capitoli del libro. Qui vengono conservati gli oggetti che il protagonista, il signor Kemal ha raccolto (comprato o, a volte, rubato) pur di tenere con sè, sempre viva e reale, la memoria di Füsün.
Il Museo dell’innocenza è nato da coloro che credono alla magia degli oggetti. Il museo è stato costruito sulla base di due desideri contraddittori: ricordare la storia degli oggetti e, al tempo stesso, mostrarne la loro innocenza atemporale. In questo procedimento l’oggetto rappresenta il punto fondamentale di accesso alla memoria, considerando la sua costituzione sostanziale di elemento parlante.
È opportuno che il visitatore entri nel Museo dell’innocenza con la piacevole illusione che tutto ciò che vedrà al suo interno faccia capo a qualcosa che è accaduto realmente, mentre la sua parte razionale sa bene che si tratta di una finzione e che il museo è parte integrante di un progetto realizzato nell’arco di più di dieci anni. L’allestimento, curato nei minimi dettagli dallo stesso Pamuk valorizza notevolmente i pezzi esposti che hanno fatto da cornice alla vicenda amorosa di Kemal e Füsun e che fanno conoscere un pezzetto della più recente storia di Istanbul. Davvero e a tutti gli effetti, un museo.
Pamuk arriva a teorizzare dei musei che conquistino la dimensione delle case private, dei ristoranti, dei bar, degli spazi della vita, e non quella dei monumenti e dei mausolei poiché i piccoli musei consentono l’accesso a un universo privato e si sa, la passione d’amore richiede un’attenzione instancabile per un’indagine inesauribile.
Ogni libro lascia in noi una traccia, un’eco che ritorna nella testa e si ricollega alle cose che pensiamo, che scopriamo o che inventiamo persino. Ognuno è padrone di un museo, che è intimo e personale. Un museo costruito inconsciamente, dove gli oggetti da collezione sono i nostri affetti più cari, che ogni giorno ci ricordano chi siamo e cosa vogliamo ricordare.
La mia casa è il museo terrestre del ventunesimo secolo e il mio corpo – senza nome, mutante e senza padrone – è l’opera.
Serena Palmese
Fonte immagine: Scoprire Istanbul